Il vino mugellano non raggiungeva i livelli riconosciuti ad altri vini toscani, ma era generalmente apprezzato come vino da pasto. Di conseguenza il raccolto delle viti assumeva una notevole importanza nell’economia familiare contadina in quanto la maggior parte del vin bono spettante al mezzadro veniva venduta. Di consueto in famiglia si bevevano vinelli come il mezzone e l’acquerello, ottenuti dalla rifermentazione di poca uva e vinacce.
La cantina è una struttura generalmente scavata sotto il livello del terreno, che crea un ambiente fresco e poco illuminato, idoneo, oltre alla conservazione del vino, anche dell’olio e di altri prodotti alimentari come salumi e formaggi.
Dopo l’ammostatura l’uva era posta nei tini e pigiata regolarmente ogni giorno per evitare che le vinacce si asciugassero, con conseguenze dannose per il prodotto finito. La capacità dei tini era mediamente di 100 quintali, ma si raggiungevano anche misure superiori. Dopo 10 giorni veniva effettuata una prima selezione del vino chiaro, poi versato nelle botti, mentre dalle vinacce, poste nello strettoio, veniva estratto il liquido residuo. Lo strettoio al centro della stanza, che risale alla fine del XVIII secolo, e l’altro, più recente, collocato all’esterno della casa, venivano utilizzati per stringere le vinacce recuperate dal tino; tale lavoro, molto faticoso, era effettuato a turni prevalentemente di notte. La strettura, dal sapore aspro, aveva una botte propria.
La buona riuscita del vino era responsabilità del capoccia, l’anziano di casa, che dirigeva ogni operazione per i vari vinari (sgrumatura, bagnatura, solfatura, avvinatura) e vinificazione, e ne valutava i risultati. Tra le operazioni più importanti quelle di dare il governo, che esaltava le caratteristiche e qualità del vino stesso. L’assaggio da parte del capoccia avveniva durante le feste natalizie, dallo zipolo.
La vendita era effettuata in genere in tempi molto ristretti (entro gennaio), per evitare deterioramenti o vizi del prodotto finito. Una delle produzioni tradizionali ad uso familiare era il vin santo, con uve scelte appassite, il cui mosto dopo la spremitura, in un piccolo strettoio, veniva posto in botticelle (caratelli) dove, per una lenta fermentazione rimaneva almeno tre anni.