(Le note che seguono sono ricavate da appunti raccolti durante una serie di conversazioni presso Casa d’Erci)
Il focolare nella casa contadina, soprattutto in inverno, era il centro della vita familiare.
Durante la giornata il fuoco era quasi sempre acceso. Il primo che si “levava” (il capoccia che si alzava presto o la massaia), si preoccupava di accenderlo, dopo aver tolto la cenere della sera avanti (che veniva conservata nel ceneraio per fare il ranno o concimare l’orto, o i campi)poi, chiunque rimaneva a casa aveva cura di alimentarlo.
La legna del resto è sempre stata relativamente abbondante nelle case coloniche dato il gran numero di alberi (nei campi a coltura promiscua e nei boschi del podere) che ogni anno venivano potati o, se occorreva, abbattuti. La mattina presto il fuoco serviva per cuocere gli alimenti per gli animali: patate di scarto, barbabietole, rape o altro che, mescolate a farine da bestie, costituivano i pastoni per “governare” i bovini; per i polli si cuoceva granturco e crusca. Per il “desinare” di mezzogiorno la massaia, molto spesso, preparava nel paiolo di rame sospeso alla catena calante sul fuoco la polenta di farina “formentone” (granturco); su un treppiede con la brace sotto e il fuoco davanti bolliva la pentola con i fagioli o i ceci o le patate oppure il grande tegame di coccio con verdure dell’orto a “buglione”. I paioli attaccati alla catena erano spesso due: in uno c’era sempre l’acqua calda per i vari bisogni della massaia.
Sul fornello a lato del focolare, in genere incassato in un muretto alto circa 50 cm, alimentato con la brace del focolare e “attizzato” con la “sventola” si cucinavano cibi o da cuocere alla svelta o in poca quantità: il soffritto per il sugo, le uova “affrittellate” nel tegamino, la pappa per i bambini, una minestrina per anziani o convalescenti. La sera a fornello spento, il muretto serviva per sedersi vicino al fuoco.
Le pietanze della cena (a “l’or di notte”: circa le 19 inverno e più tardi in estate) erano quasi tutte veloci da cucinare: frittate di vario tipo: di fiori di zucca, zucchini o patate fritti, o migliaccio, saltate in padelle di tutte le dimensioni e munite di un lungo manico per non bruciarsi al fuoco.
I tegami con il sugo di carne per i tortelli o con la carne in umido che sobbollivano sul treppiede, erano al fuoco solo per le festività più grosse mentre alla domenica di solito si cocevano in un pentolone i nastroni fatti in casa o la pastasciutta con la pasta comprata a bottega.
Dopo cena, in inverni, tutta la famiglia si raccoglieva “a veglia” attorno al focolare; molto spesso dalle case vicine venivano in visita amici e parenti. La luce, prima dell’avvento degli impianti elettrici, era quella della brace e di un lume ad olio appeso alla trave del camino.
Nella parte più interna del camino (il “canto del fuoco”) sedevano i vecchi (da questo il proverbio “val più un vecchio nel campo che un giovane nel campo”) sonnecchiando o narrando favole ai bambini, con accanto i gatti di casa. Solitamente il camino era tanto ampio da poter contenere il canapé: una panca di legno con schienale e braccioli, resa più comoda da un saccone di foglie di granoturco o da una pedanina di salino.
Vecchi e giovani parlavano raccontandosi vecchie storie, o commentando i piccoli avvenimenti di paese, o discutendo i fatti più importanti o le eterne questioni dei rapporti con il padrone e il fattore. Mai però con le mani in mano, cioè senza far nulla: gli anziani rimpagliavano le sedie o intrecciavano vinchi per costruire ceste da “segato”; la nonna filava con la rocca mentre le altre donne facevano la calza o rammendavano panni o lavoravano al ricamo, o a far cappelli o guanti per “rimediare qualche soldo”; i più giovani spesso giocavano a carte.
La veglia attorno al fuoco rappresentava il compimento della giornata ed era un momento di raccoglimento, di divertimento e di distensione.
In molte case era anche il momento per dar voce al sentimento religioso: subito dopo cena, prima che arrivassero ospiti, il capoccia o la nonna “avviavano” il rosario recitando con la corona in mano le preghiere del rito mentre gli altri familiari rispondevano.
Prima di andare a dormire nelle camere fredde si metteva il “fuoco a letto”: veniva presa un po’ di “bracia” accesa dal camino per metterla, coperta da un po’ di cenere perché durasse più a lungo e non bruciasse i lenzuoli, nello scaldino (detto “cecia”, con i bordi ed il manico basso , adatta per il suo uso nel letto, mentre l’altro tipo, il “cardano”, con il manico più alto, era usato dagli anziani in casa per scaldarsi mani e piedi) che poi, appeso al gancio del trabiccolo (o “prete” o scaldetto) veniva infilato dentro il letto.
Ci si coricava verso le 10 o le dieci e mezza e la massaia era l’ultima a lasciare la cucina; solo allora il fuoco veniva lasciato morire nel camino. Spesso un po’ di brace si conservava accesa fino al mattino sotto la cenere e bastava ravvivarla per riaccendere il fuoco il giorno dopo.
Sopra la mensola o sotto la grande cappa del camino c’erano sempre la saliera(cassettina di legno appesa al muro, con il sale grosso e quello fino in due scomparti sotto il coperchi9io a caduta) gli zolfanelli (fiammiferi fatti in casa inzuppando l’estremità di bacchettini nello zolfo fuso) o fiammiferi di legno comprati a bottega, la catena da camino con appeso il paiolo, le molle, la paletta, i treppiedi di ferro per arrostire pane e polenta o per sostenere pentole e tegami. I “capitoni” (gli alari) erano sempre due lunghe e grosse pietre di buona arenaria locale (gli alari in ferro erano comuni solo nelle case dei benestanti)
Altri oggetti d’uso nel focolare potevano essere : Il “soffione”, un lungo tubo di ferro per soffiare sulla brace (compito piacevole per i ragazzi, ai quali però si doveva raccomandare di non tirare su); la padella bucata per le “bruciate” (caldarroste); il “carderottolo” (piccolo paiolo a forma di pentola) per le “ballotte (castagne lesse) ed il grande mestolo bucato, di legno, per scolarle; il “tostino” (contenitore di ferro , cilindrico e girevole su apposti perni laterali) con il quale, poggiandolo sui capitoni, si tostava l’orzo per il caffellatte mattutino; il lumino ad olio o la lampada ad acetilene, i ferri da stiro; il pennato per tagliare la legna; i lunghi mestoli da paiolo. Raramente nelle case coloniche poteva trovarsi il girarrosto con gli spiedi e la “leccarda” (lunga teglia per raccogliere il sugo che cola dalla carne)
Spesso il gradino di pietra che costituisce la base del focolare era tanto alto da poter ospitare, in una vano centrale, una sorta di grossa cassetta di legno chiamata “tira” nella quale venivano messi a inaridire (eliminare l’umidità residua) gli indumenti per cambiarsi, oppure il “formento” se era poco lievitato, o i pulcini appena nati per proteggerli dal freddo.