L’ambiente dove veniva fatto il bucato è stato ricostruito nella prima stanza del museo, un tempo locale d’ingresso della casa detto la loggia, dove generalmente si trovava questo impianto. Gli strumenti essenziali a quest’operazione erano la conca, un fornello e la caldaia per scaldare l’acqua, la cenere raccolta nel cenerario situato, in questa colonica, presso il camino. Questo lavoro, affidato esclusivamente alla componente femminile della famiglia, veniva effettuato in genere ogni 15/20 giorni. I panni, dopo essere stati suddivisi secondo il grado di sporcizia, venivano messi nella conca, la cui capienza era accresciuta da una tesa di stecche verticali di pioppo. Il carico era poi coperto con una tela, detta cenerone, cui seguiva la cenere e il guscio delle uova come sbiancante. L’acqua, una volta giunta ad ebollizione sul fornello, era versata nella conca sulla cenere; si producevano così sostanze saponose (il ranno) che dopo vari passaggi rendevano puliti i panni.
Sul fondo della conca si trovava un foro di uscita per l’acqua, che veniva reimmessa nel ciclo dopo essere stata di nuovo scaldata. Dopo 6/8 passaggi l’acqua che usciva dal fondo era calda e il bucato era pronto. A questo punto la cenere era gettata nella concimaia, i panni posti nella cesta e portati a mano o con il carro fino al torrente per la sciacquatura.
Nel corso dell’acqua veniva posto un lenzuolo, fissato tramite dei sassi, che impediva che si muovesse la terra del fondo.
I lavatoi erano in genere costituiti da una lastra di pietra obliqua, immersa in parte nell’acqua, e appoggiata ad un’altra, che serviva come inginocchiatoio.
Dopo il risciacquo i panni più grandi erano messi ad asciugare sul prato mentre quelli piccoli venivano tesi al filo.
I tessuti di canapa nuovi venivano sbagnati varie volte e distesi sul prato: il sole e la rugiada aiutavano infatti l’ammorbidimento e la sbiancatura del tessuto. Una volta asciutti erano piegati e posti nei mobili con lo spigo, sostanza profumata e con proprietà antitarmiche.